Ho iniziato a praticare Ashtanga nel 2010 mentre vivevo a Parigi, poi nel 2018 quando sono tornata a vievere a Milano mi sono subito rivolta ad Elena anche grazie ad una amica comune.
La pratica dell’Ashtanga per me è sempre stata una pratica interiore con un lento ma costante viaggio alla ricerca del se. Inizialmente facevo fatica a ritagliare del tempo per la pratica ma con il passare degli anni e anche grazie all’atmosfera dello Shala ho capito che la pratica era per me fondamentale per riuscire affrontare e gestire la quotidianità con serenità. Non ho tanto tempo per praticare ma quel poco tempo è diventato sacro a cui molto difficilmente rinuncio.
Ogni pratica per me è diversa, ogni volta scopro qualcosa di nuovo, non tanto della posture o nella sequenza, ma su me stessa e la mia relazione con il mondo esteriore.
Praticare mi ha insegnato ad accettare e imparare a trovare la comodità nelle posizioni che risultano scomode, succede nella pratica ma sopratutto aiuta imparare a farlo nella vita di tutti giorni. Un accettazione che però rende più forti e da un senso di equilibrio.
Ci sono posizioni a cui sono stata ostile per anni, le ho combattute in tutti i modi cercando di trovare scuse per non farle, per poi alla fine imparare appunto ad accettarle ed amarle.
Una tra tutte il Ūrdhva Dhanurāsana (ponte): per 10 anni non sono mai riuscita a completarlo, era doloroso, scomodo, innauturale ma una parte di me, per fortuna, non ci ha mai rinunicaoto completamente e poi Elena un giorno mi ha illuminato con due semplici accorgimenti e sono sono rinata nel farlo.
Il bello dell’astanga è proproio questo, le sequenze si ripetono ma la pratica rimane assolutamente personale unica e ogni pratica diversa