La pratica quotidiana, prendere quello che c’è

scritto da beatrice Acquistapace

Secondo la tradizione, la pratica dell’Ashtanga Vinyasa Yoga, intesa come pratica fisica di Asana sul tappetino, va fatta 6 giorni a settimana e possibilmente la mattina presto, senza lasciar passare troppo tempo da quando ci svegliamo a quando facciamo il primo saluto al sole.

Così la pratica diventa un vero e proprio rituale quasi quotidiano, un po’ come lavarsi i denti la mattina.

Ovviamente non ci si arriva subito, ma è una routine che si costruisce nel tempo e in modo graduale. Saranno proprio la pratica stessa e la nostra volontà di stare sempre meglio grazie ad essa a farci passare al momento giusto da una volta a settimana a due, da due a tre, e così via. Quando poi la pratica diventa un rituale quotidiano, il lavoro si fa molto più sottile e i benefici crescono in modo esponenziale.   

La mattina presto, ancora prima che sorga il sole, è il momento ideale per praticare, godendo della quiete che ci circonda quando ancora la città dorme. La cosa più difficile, soprattutto all’inizio, è superare il trauma della sveglia, ma una volta abbandonato il letto e dopo una bella doccia, srotolare il tappetino è già più semplice. E nella maggior parte dei casi è proprio la mattina presto che si riesce a creare una routine che includa la pratica 6 giorni su 7. In questo momento della giornata è raro essere disturbati, ancora più raro avere altri impegni, e la pratica diventa un momento per sé stessi, di pura concentrazione e introspezione. Detto ciò, è importante che ognuno trovi il momento più adatto per mettersi sul tappetino in base ai propri impegni e alla propria vita, purché se ne faccia un rituale continuo e costante. 

Quello che voglio sottolineare in questo articolo, è proprio il fatto che è meglio praticare 6 giorni a settimana facendo solo i saluti al sole, piuttosto che due volte a settimana facendo tutta la prima serie.

Spesso la scusa migliore per non fare la pratica è proprio il non avere abbastanza tempo, perché ci limitiamo all’idea di doverla fare “tutta”. Ma quello che conta di più non è la quantità o la durata, ma la continuità e la costanza. Quello che rende una pratica degna del suo nome, è semplicemente il movimento (Asana), il respiro (Pranayama) e la concentrazione dello sguardo su alcuni punti focali (Drishti). Finché sono presenti questi tre aspetti, anche solo per 10 minuti, possiamo dire di avere praticato. Alla base dell’Ashtanga Yoga ci sono proprio questi tre componenti, che costituiscono il metodo chiamato Trishtana. 

Quando la pratica diventa quotidiana, assume anche la funzione di “scan” del proprio stato di salute fisica e mentale. Ci saranno giornate in cui ci sentiamo più forti, più energici, più attivi, e giorni in cui siamo più stanchi, più letargici, con meno energie; oppure giornate in cui ci sentiamo più tranquilli, più concentrati, più sereni, e giorni in cui siamo più stressati, pieni di pensieri e di preoccupazioni. 

Non è certo possibile pretendere di essere ogni giorno al top. Ecco che la pratica diventa così anche grande maestra del non attaccamento e dell’accettazione. Impariamo a prendere ogni giorno quello che c’è, che sia una pratica completa nella forza e nella concentrazione o una pratica breve nella stanchezza e nel delirio mentale. Se riusciamo ad accettarlo, riusciamo a vedere che entrambe vanno benissimo e rispecchiano esattamente quello che abbiamo bisogno in quella particolare giornata. 

Impariamo a non essere attaccati a quelle pratiche belle, soddisfacenti cariche di quell’energia che ci fa sembrare l’ora e mezza sul tappetino come dieci minuti, perché senza le pratiche più difficoltose e trascinate non riusciremmo ad apprezzare quelle migliori.

Così come nella pratica, ogni cosa nella nostra vita è fatta di opposti. Sta a noi riuscire a vedere la bellezza in ambedue le facce della medaglia e fare tesoro di quello che entrambe hanno da insegnarci. Ciò che a primo impatto può apparire negativo, in verità arriva sempre a nostro beneficio.

Bea

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